Enrico Dalmastri

Lettera di enrico ai foulard bianchi.

Al di sopra delle parti, un’utopia rivelatasi affatto utopica

Enrico è stato, dagli inizi degli anni ’50, uno dei fondatori del roverismo in Italia modellandolo sui principi di BP ed avendo trascinato piu’ di due generazioni di giovani. Nato a Bologna nel 1927, cresciuto nell’azione cattolica sino a 18 anni entra a far parte dello scautismo nell’aprile del 1945 in pieno dopoguerra dove a Bologna tutti i ragazzi sopra i 16 anni vengono raccolti in un unico clan, è il clan della Garisenda che ha vita sino al 1956 e che segna gli inizi del roverismo. Enrico ricopre diversi ruoli in ASCI, AGESCI, MASCI oltre a quelli nella comunità Foulard Bianchi e nel centro studi Baden-Powell. Da una testimonianza di Carlo Di Palma: Andavamo a Lourdes con l’unitalsi della toscana insieme ai barellieri e le dame il clan del Bologna 16 i fratelli del Carpi 1 e 2, di Genova, La Spezia e Firenze, con gli scout de france con la loro camicia rossa e con gli scout d’europa impeccabili con i loro guanti bianchi e rimanevamo rapiti e storditi dalla sconvolgente potenza del dolce messaggio di Maria, andavamo a Lourdes per comprendere quanta grazia il buon Dio abbia voluto nascondere tra le pieghe e le piaghe di un sofferente. Non so dire quanti viaggi abbia fatto Enrico e quanti caffè gli abbia visto bere, lui che continuava a tappare buchi nei servizi incessanti che ci radunava e ci parlava con quel suo modo semplice ma solenne esortandoci ad impegnare la nostra vita per il Servizio, senza scuse e senza compiacersi. La prima cosa che capimmo sullo spirito di Lourdes, prima della comunità, prima della strada, Lourdes era servizio e fede. Enrico lo trovavi ovunque, dall’esplanade alle processioni alle piscine o in stazione nelle camere dell’ospedale e persino con noi nei pochi momenti di condivisione al campo dei giovani. Con noi parlava, cantava, mangiava edormiva anche se tra di noi non esiste una sola testimonianza certa che Enrico chiudeva gli occhi quando dormiva. “Enrico non dorme mai” ci piaceva ripetere tra di noi che nonostante la nostra età passavamo dalle veglie un po’ guascone ai sonni piu’ rovinosi. “Enrico non dorme mai” così come per BP c’era uno dei tanti soprannomi “il lupo che non dorme mai”.

Enrico , poi, sorrideva anche nelle difficoltà nonostante abbia vissuto fortemente l’esperienza del dolore. La sua perenne giovinezza lo ha posto in sintonia e simpatia nei confronti dei ragazzi di oggi così come lo era stato con i ragazzi di ieri. Poneva il proprio onore nel meritare fiducia ed in questo sta anche la ragione della sua altissima testimonianza di responsabilità e di coerenza nella sua vita familiare, in quella civico e sociale, in quella associativa ed ecclesiale e testimoniando il valore essenziale di cittadino ed educatore. Tina, la sua sposa dalla quale ebbe due figlie, è stata la coartefice della sua visibile santità conquistata giorno per giorno.

Chi lo ha conosciuto, chi è stato suo compagno di strada nei percorsi della vita associativa e non, chi gli ha voluto bene, non puo’ non avere una struggente nostalgia della sua persona che continua ad essere presente, essendo consapevoli di sentirlo acanto perché ora è servitore fedele che contempla per sempre il volto del Signore. Questo infatti è stato il vero scopo, l’autentica meta ed il reale obbiettivo del “pellegrinaggio” della sua vita terrena. Enrico torna alla casa del Padre il 24 Maggio 1998 giorno dell’Ascensione.